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L'apologia che manca PDF Stampa E-mail

30 Dicembre 2022

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 La destra di oggi ha perso il legame con lo spirito della vita. Quella di ieri ha avuto il torto di realizzare politiche impiegando l’autoreferenziale diritto alla forza. Entrambe nulla hanno e hanno avuto a che vedere con il cosiddetto pensiero di destra. Cosiddetto, in quanto da sempre abbinato a politiche conservatrici e prevaricatrici. Se c’è un abbinamento da fare o quantomeno da prediligere è quello con lo spirito della vita. Quello che non ha a che vedere con la narrazione progressista.

 

In un recente articolo, Marcello Veneziani scrive: “[…] molti autori della grande cultura di destra sono intraducibili in politica: autori come Julius Evola, Ernst Junger o Yukio Mishima non offrono sbocchi politici ma solitudini eroiche, passaggi al bosco, rifiuto della società di massa e del realismo politico”. Tutto vero, ma ad una condizione. Che l’attuale stato delle cose, la cultura del momento, squisitamente a sfondo materialista e meccanicista, venga data – o peggio, concepita – come definitivamente inamovibile. Una specie di Tina in campo culturale, o meglio esistenziale. Capisco che non è piacevole sentirselo dire. Spero, e chiedo in merito, una lettura fenomenologica della mia affermazione. Ma il punto non è per niente questa nota critica a Marcello Veneziani, uomo di spessore verso il quale non c’è in me alcun intento competitivo. Come potrebbe?

Il punto è che la concezione materialista e meccanicista, nonché scientista della storia, è suntzuanamente certamente da legittimare al fine di riconoscerne logica e ragioni. Ma non è la sola come pretende di essere. Peggio, come la vulgata, salvo eccezioni, intellighenzia inclusa, crede sia. L’alternativa vedrebbe la presenza fattiva (“realismo politico”) anche dei tre intellettuali citati da Veneziani: Julius Evola, Ernst Junger, Yukio Mishima. Quantomeno del significato profondo del loro pensiero sull’uomo, la società e la vita.

La modalità meccanicista che domina i nostri pensieri, le nostre scelte e le politiche ha ragione d’essere in un tentativo razionale di organizzazione sociale. È una modalità eccellente in contesto amministrativo, ovvero per quelle situazioni nelle quali tutti sanno tutto, dalle regole, ai ruoli, alla semantica, allo scopo, alla verità. Campi chiusi insomma. Estendere questa modalità logico-amministrativa al contesto relazionale aperto, ovvero intendere meccanicisticamente l’uomo, è all’origine di tutti gli equivoci, nonché di tutti gli attriti, malesseri, malattie, conflitti. In ambito relazionale, come settorialmente diverse scuole psicoterapiche, didattiche, semantiche hanno già implicitamente riconosciuto, la realtà oggettiva – a sua volta figlia del dominio dell’immaginario da parte della logica e del materialismo – diviene un dannoso, inconsapevole dogma. Secondo la formula che siamo universi diversi, in ogni persona ne vortica uno dal quale si estrae il necessario per definire la realtà. Definizione che rispetterà sempre la biografia che la elabora. A causa dell’incantesimo meccanicista, saranno tutte definizioni con tale matrice. Emanciparsi da questo DNA culturale, vederne i limiti, riconoscerne l’inopportunità se applicato in ambito relazionale, permette di riappropriarsi della vita, il cui ordine non è esauribile su un piano cartesiano, la cui infinità non può essere compressa in poche, seppure erudite, scatole logico-razionali. Ed è qui che i tre autori e tutta la concezione sottile dell’uomo ha ragione d’essere presa in considerazione.

Quando, quanto e come sia possibile la decantazione di una concezione altra della realtà rispetto all’attuale – che accetta di buon grado di ridurre l’uomo a consumatore, a produttore, a merce, a elettore, a fenomeno economico, a replicante ideologico, pena la criminalizzazione e ghettizzazione, ad alienato, e ultimamente a futile, nonché neppure più sovrano del suo corpo, comunque sempre allineato e coperto in adunata sotto la bandiera del dirittismo e del politicamente corretto, meglio se individualista, edonista e votato all’opulenza – non è per nulla importante. Quest’uomo omologato, ormai virtuale come un videogioco, non sa cosa sia essere creativo, né che identità non corrisponde a una scelta, ma a una radice. Non sa che la sua formazione è destinata a essere funzionale a un sistema di valori che neppure sospetta possano essergli fatali. Non lo sa, ma il nichilismo con la sua carica mortificante incombe, così è contento perché va a sciare.

Che fare? Nulla che pretenda il risultato, sarebbe una modalità a sfondo produttivistico. È solo necessario essere sul pezzo. Operare per promuovere una cultura evolutiva nelle occasioni che la vita offre significa alzare al massimo il rischio di successo di una concezione umanistica della cultura, della politica, della vita. La sola idonea a superare l’obbrobrio del pil come indice del benessere di una comunità.

Come il terrazzamento di un intero versante, che avrebbe richiesto l’opera continuativa di più generazioni, non intimoriva il primo uomo che ne aveva avuto visione nonostante la fitta vegetazione, e non intimoriva neppure tutti coloro che lo avrebbero nel tempo realizzato, così, stando sul pezzo lo avevano portato a termine e la comunità ne avrebbe goduto. Allo stesso modo, con pari dedizione e continuità, sarebbe da intendere il lavoro in corso per un cambiamento evolutivo di paradigma. Se i montanari dissodavano senza interruzione, noi lanceremo messaggi di deliberata bellezza nella bottiglia. Tra le onde, faremo semplicemente ciò che ogni naufrago dell’attuale mortifera burrasca politico-culturale non esiterebbe a fare, unendovi tutta l’energia che la sua visione di cambiamento richiede. Proprio come i montanari. Tempestoso mare immondo, le cui paurose onde non sono che l’inerzia della vulgata non solo popolare, perché ora fanno corpo anche gli intellettuali. In cima ai marosi, spumeggianti di vuota vanità, troviamo le vaporizzate istituzioni, definitivamente separate da ciò di cui dovrebbero occuparsi. Per quanto riguarda la cosa pubblica, va riconosciuto all’arguto selettore capitalistico il nefasto merito di aver prodotto la sua razza capolavoro, non a caso ora sua cagna da guardia, chiamata Politica.

Viviamo così entro un catino di forzati guerrieri in lotta individual-civile. A pieno diritto, ci diamo da fare non nel rispetto dei vizi capitali, ma in quello del business is business che, all’opposto, li rinnega tutti. In suo nome, in nome di quel dio, possiamo arrivare a fare di tutto per la conquista della rampa che conduce al piano di sopra.  La dedizione per ascendere al palazzo di Babele può durare una vita. Non sospettiamo l’elevato rischio di finire con sorpresa dritti ad affacciarci infine al vuoto della perdizione esistenziale, sempre disponibile al di là dei cristalli. Appena le opportunità ci offriranno la consapevolezza di aver dedicato anima e corpo – in senso stretto – ai valori effimeri, di un mondo che neanche Truman Burbank era stato bastato a dimostrarci che era fittizio, nel nero staremo precipitando. Che altro sono le crescenti psicopatologie, bulimie e neoplasie, nonché i vari mitra scaricati a scuola, se non sintomi di quel precipitare nel vuoto di questa cultura?

Diversamente da quanto afferma Veneziani: “[…] solitudini eroiche, passaggi al bosco, rifiuto della società di massa e del realismo politico”, quei tre e molti altri, non certo ultimi né il Cristo né il Buddha, avrebbero motivo e ragione di non far parte della congrega socio-politica, per la realizzazione di un altro realismo politico. Oggi, da chi ne ha coscienza, perdentemente lasciato a nutrire l’utopia. Se possiamo chiamare uomo compiuto la persona con le consapevolezze idonee alla sua emancipazione dalle ideologie, dai luoghi comuni, dall’attribuzione di responsabilità, dal vittimismo, dalla personalizzazione dei fenomeni, e così via, questo ha ragione di scaturire da una cultura che abbia incarnato in sé, e perciò mantenuto, il legame con il volume dal quale tutta la storia diviene. Platone lo chiamava iperuranio. In esso vi è già tutto. Soltanto l’uomo inconsapevole pensa perciò che la sua competenza logico-analitico-scientista possa portare alla verità, come la formula “in cerca della più piccola parte della materia” ben rappresenta. Quell’uomo è inetto a vedere nel suo fare il limitato campo in cui può sostenerlo e l’implicazione blasfema che comporta quando, come sempre accade, assurge a verità definitiva. Per spiegazioni, chiedere a Julius, Ernst e Yukio. E già che siamo in tema di domande, chiediamoci anche quale tipo di politiche e di società metterebbe in essere l’uomo compiuto. Il terrazzamento non è un’utopia e se lo fosse la boscaglia sarebbe rimasta al suo posto.

Lorenzo Merlo

 
Viviamo in una bolla PDF Stampa E-mail

29 Dicembre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 27-12-2022 (N.d.d.)

L’argomento principale di Immanuel Kant a proposito della necessità morale di non mentire era che la menzogna non era una pratica sostenibile, mentire non era una massima universalizzabile, in quanto un mondo in cui tutti mentissero era un mondo in cui la parola, il pensiero e la legge avrebbero perduto ogni valore.

Oggi siamo piombati nel mondo prefigurato da quella riflessione kantiana. Oggi sui grandi media, sui veicoli della visione del mondo che tutti siamo tenuti ad avere in comune, imperversano i fabifazi e le michelemurgie, le concite e i parenzi, un'intera ubertosa selva di ripetitori con variazioni-dillo-con-parole-tue di ciò che è gradito ai detentori del potere. Non bisogna pensar male e ritenere che questa sterminata accolita di ripetitori con variazioni siano volgarmente stipendiati a cottimo per ciascuna menzogna. Niente affatto. Si tratta di soggetti il cui solo talento umano consiste nell’innamorarsi perdutamente delle idee di chi può pagarle. Ma così, per caso, spontaneamente, una seconda natura. E quanto alle libere praterie della rete, per capirne il funzionamento odierno basta dare un’occhiata ai Twitter Files che un imprevisto cambio di padrone in un social ha fatto trapelare. Catene di comando dirette che portano dalle agenzie di sicurezza americane alle operazioni di oscuramento e selezione manipolativa sui social. I grandi social sono una tonnara, dove dapprima si sono fatti entrare gratuitamente centinaia di milioni di utenti, come nel paese dei balocchi, con l’illusione di dare corpo ad una nuova forma di democrazia reale, solo per poi chiudere le reti e condurre i tonni alle scatolette di destinazione. (Con il plauso degli imbecilli terminali che “sono-privati-possono-fare-quello-che-gli pare”).

Ma a prescindere dagli intercambiabili e dimenticabili protagonisti di questa stakanovista produzione di menzogne, ciò che bisogna affrontare è il risultato sistemico, che è esattamente quello prefigurato sopra: viviamo tutti in una bolla, un mondo irreale e derealizzato, che è l’unico mondo che io e il mio vicino abbiamo davvero in comune, e che si divide tra semplicemente inaffidabile e intenzionalmente manipolato. Cosa “si” sa? Di cosa possiamo parlare in comune, su cosa possiamo accapigliarci e dibattere politicamente con gli altri cittadini, se non su questo mondo fittizio, modellato da catene di filtri a monte, che ci arriva confezionato in casa su qualche schermo? Certo, esiste la possibilità di una lotta di minoranza che si affatica a trovare le incongruenze, a sfruttare gli occasionali errori e le imperfezioni di un sistema che, come tutti i sistemi di potere quasi onnipotenti, tende a diventare sciatto. Però la semplice verità è che questo tipo di lotta richiede energia, intelligenza, coraggio, capacità di resistere all’isolamento e alle frustrazioni, tutte qualità che sono e saranno sempre patrimonio di esigue minoranze. Il maggior risultato di questa costruzione di un edificio costante di menzogne non è tanto la ferrea persuasione ideologica dei più, ma la caduta in discredito della realtà (di quella che viene fatta passare per tale). Tolta la minoranza dei combattenti, grosso modo la popolazione sottoposta a questa “cura Ludovico” king-size si divide in due grandi gruppi.

Da una parte ci sono i conformisti arrabbiati, i nuovi bigotti del politicamente corretto, i progressisti fobici, i benpensanti militanti che, forse perché percepiscono la fragilità del loro mondo di credenze ufficiali, vi si aggrappano in modo virulento e cercano di obliterare e screditare e azzannare chiunque vi si opponga anche marginalmente. Per rifarsi ad una vecchia categorizzazione di Umberto Eco, questi sono al tempo stesso apocalittici e integrati: sono completamente integrati nel sistema e lo sostengono con la ferocia apocalittica dei millenaristi. Sono gente che sembra aver già inserito nella propria corteccia il microchip dell’indignazione morale permanente, e che la applica rigorosamente al solo catalogo approvato dai datori di lavoro. Questi “Guardiani dell’Illusione” probabilmente avvertono ad un qualche livello che la finzione è tale, ma è proprio solo la finzione a dargli conforto, calore, intrattenimento, denaro e come per la zecca il mondo si conclude dove essa può annidarsi e succhiare sangue, così questi si attestano nella loro nicchia ecologica che gli consente di passare dalla culla alla tomba senza troppi grattacapi. Dall’altra parte esiste una grande massa scettica, che ha capito abbastanza da non credere a ciò che passa il sistema, o a crederci con mezzo cervello, ma che non ha l’energia, o la preparazione o il coraggio per cercar di ottenere un diverso accesso alla realtà. Questi rappresentano la più grande vittoria del sistema, che facendone degli scettici disillusi senza speranza ne disinnesca ogni potenziale pericolosità. Nelle nuove generazioni questa vittoria tende ad essere totale: rinchiusi in piccoli mondi prêt-à-porter, brandizzati, la parte più sveglia della gioventù riesce solo a credere fermamente che non si possa credere a niente, e in nulla (quella meno sveglia sogna unicorni fluidi ecosostenibili).

Stiamo nuotando in una boccia di pesci rossi, con i vetri dipinti di colori sgargianti, in caduta libera, contando sul fatto che il pavimento non arrivi mai. Ma la realtà non cessa di esistere per il fatto di essere rimossa. Semplicemente come sempre avvenuto nella storia, quando ci si allontana troppo e troppo a lungo da essa, farà sentire la sua voce spezzando la schiena al nostro mondo di filtri e schermi, di millenaristi a gettone, di solipsisti enervati.  Non illudiamoci però, nessuna Rivelazione, nessuna confortevole Illuminazione ci aspetta. Ci sono rare epoche in cui la verità prova a filtrare come un messaggio (la “buona novella”), ma di solito essa si fa spazio nella sua forma originaria e primitiva, come schietta catastrofe. (E peraltro anche la buona novella dovette attendere il collasso di un impero per diffondersi).

Andrea Zhok

 
Milano gay friendly PDF Stampa E-mail

28 Dicembre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 23-12-2022 (N.d.d.)

Per fortuna l’abominio dell’utero in affitto è ancora considerato reato, nel nostro come nella stragrande maggioranza dei Paesi. Ma succede che l’arcobalenato sindaco di Milano Sala, come annuncia il sito “Feministpost”, ha deciso unilateralmente di registrare gli atti di nascita dei figli di «coppie omogenitoriali», compresi i nati da utero in affitto. La questione riguarda non solo le coppie arcobaleno, ma anche le coppie eterosessuali che ricorrono alla gestazione per altri (utero in affitto) all’estero. Nonostante le femministe storiche abbiano sempre contestato il ricorso a questa pratica che sottrae il bambino alla madre, hanno comunque posto la questione già nel 2019, quando vari Comuni, compreso quello di Milano, cominciavano a registrare i bambini nati da utero in affitto. Come ricorda Marina Terragni, storica femminista milanese, «allora abbiamo chiesto che non venissero registrati i due genitori, ma soltanto il padre biologico; mentre l’altro componente della coppia avrebbe potuto ricorrere all’adozione speciale». Una specificazione non da poco con la quale da una parte non si toglie alcun diritto al bambino, dall’altro gli si consente di sapere quali sono le sue origini. E, inoltre, non legittima la dichiarazione del falso, in quanto non si può attribuire la genitorialità biologica a chi non soddisfa questa condizione. Su questo si espresse la Cassazione, la quale diede ragione alla posizione delle femministe. Ma Sala ora se ne infischia, tutto preso com’è dall’euforia di dichiarare Milano una città “gay friendly”, nonostante, come dice la Ferragni, questa non sia una priorità negli stessi ambienti Lgbt. Così ora femministe, militanti di Arcilesbica, oltre che molti intellettuali hanno presentato un esposto per chiedere se costituisca reato la registrazione nell’anagrafe di bambini nati da utero in affitto. La decisione di Sala nasce dall’idea mercantilistica della riproduzione: il diritto, dietro corresponsione di denaro, di acquistare un bambino da una donna che “affitta” il suo utero. E quasi sempre parliamo di donne che si assoggettano a questa barbara pratica a causa della propria indigenza. Il neoliberismo produce questo mostro: l’idea che si possa rivendicare il “diritto” di avere tutto ciò che si desidera, anche un bambino, perché no? l’importante è pagare.

Antonio Catalano

 
La banca centrale russa segue i dogmi del liberismo PDF Stampa E-mail

26 Dicembre 2022

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Da Comedonchisciotte del 24-12-2022 (N.d.d.)

Per vincere nell’Operazione Militare Speciale è necessaria la mobilitazione economica del Paese. L’Operazione Militare Speciale va avanti da quasi dieci mesi e non ci sono segni di tale mobilitazione. Ammettiamolo: il ruolo decisivo nella gestione dell’economia russa non spetta al governo, ma alla Banca Centrale. La legge federale sulla Banca Centrale afferma chiaramente che si tratta di un’istituzione indipendente dallo Stato e “non è responsabile degli obblighi dello Stato“. Pertanto, gli appelli del Presidente della Federazione Russa alla mobilitazione economica, al ripristino della sovranità economica della Russia non sono rivolti alla Banca Centrale. Essa ha un compito diverso: “prendere di mira l’inflazione“. E ho ripetutamente scritto che “inflation targeting” proviene dal vocabolario del “Washington Consensus”. Il fatto che la gestione dell’economia sia nelle mani della Banca Centrale non è un’esagerazione. In Russia, che ha intrapreso la strada del capitalismo più di trent’anni fa, il denaro è lo strumento principale per la gestione dell’economia, ed è nelle mani della Banca Centrale, che è indipendente dallo Stato e ha la capacità di stampare. Inoltre, nel 2013 la Banca Centrale ha ricevuto lo status di mega-regolatore finanziario, che le conferisce il diritto di intervenire in quasi tutti i settori della vita economica.

La Banca Centrale dispone di strumenti reali per la gestione dell’economia. In primo luogo, il tasso chiave, con il quale determina i tassi di interesse per molti strumenti finanziari (prestiti bancari, depositi, titoli di debito, azioni, ecc.). In secondo luogo, la macchina da stampa; con questo strumento la Banca Centrale determina la quantità di denaro in circolazione. In terzo luogo, la borsa su cui vengono effettuate le transazioni con valuta e titoli. In quarto luogo, le banche commerciali (la legge sulla Banca Centrale afferma che esercita la supervisione bancaria e la regolamentazione delle attività bancarie). In quinto luogo, compagnie assicurative, fondi di investimento, fondi pensione, organizzazioni di microfinanza e altri partecipanti al mercato finanziario (la Banca Centrale ha ricevuto il diritto di comandare queste organizzazioni nel 2013, quando è diventata un mega-regolatore finanziario). In sesto luogo, istituzioni di infrastrutture del mercato finanziario – agenzie di rating, depositari, gli scambi di cui sopra; nel prossimo futuro, la Banca Centrale prevede di mettere sotto il suo controllo le società di revisione.

Inoltre, la legge sulla Banca di Russia ha conferito alla Banca Centrale il diritto di avviare la legislazione su questioni chiave di politica economica come la regolamentazione valutaria e il regime dei flussi di capitali transfrontalieri.

La cosiddetta indipendenza della Banca Centrale nasconde il controllo su di essa, che (almeno fino al 24 febbraio 2022) era esercitato da istituzioni sovranazionali. Innanzitutto la Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS) di Basilea. La quota della Banca Centrale nel capitale autorizzato della BRI è dello 0,57%. Tale quota predetermina lo status della Banca di Russia come “azionista di minoranza”, che non ha diritti speciali, ma ha l’obbligo di rispettare le decisioni degli “azionisti di maggioranza” (la Federal Reserve statunitense, la BCE, la Banca d’Inghilterra, la Banca Nazionale svizzera e diverse altre importanti banche centrali). Poi il Fondo Monetario Internazionale (FMI), volto a garantire che la Banca Centrale della Federazione Russa attui i principi del “Washington Consensus” in Russia (massima liberalizzazione monetaria, deregolamentazione dell’economia, eliminazione di qualsiasi restrizione alla circolazione transfrontaliera di capitali, ammissione di investitori stranieri nell’economia). La Banca Centrale della Federazione Russa partecipa anche al capitale della Società per le comunicazioni finanziarie interbancarie internazionali (SWIFT, Belgio). Che però non è diventata una protezione contro il blocco delle operazioni delle banche russe attraverso questo sistema dopo il 24 febbraio. Inoltre, il Federal Reserve System degli Stati Uniti (è considerata la banca centrale americana, ma i proprietari della società privata FRS sono anche azionisti non americani; cioè, è una struttura sovranazionale privata). Per quanto riguarda la Federal Reserve americana su Neglinka (l’indirizzo dell’ufficio principale della Banca di Russia), all’inizio dell’anno si diceva che la Banca Centrale della Federazione Russa, dicono, avrebbe preso le distanze dal dollaro USA e le autorità monetarie statunitensi. E hanno detto che solo circa $ 2 miliardi sono rimasti nel suo portafoglio di titoli del Tesoro USA, ma hanno taciuto che la parte in dollari delle riserve valutarie è molto più grande. Fondamentalmente, si tratta di dollari USA su depositi bancari di banche estere. Al 1° gennaio 2022, secondo il rapporto annuale della Banca di Russia, aveva un patrimonio di 66,8 miliardi di dollari. (13,9% di tutte le riserve valutarie).

L’articolo 75 della Costituzione della Federazione Russa afferma: “Proteggere e garantire la stabilità del rublo è la funzione principale della Banca Centrale della Federazione Russa, che svolge indipendentemente dalle altre autorità statali“. E invece di “proteggere e garantire la stabilità del rublo” nel 2013-2014 è apparso… “targeting sull’inflazione”. Ciò ha portato al fatto che nel dicembre 2014 si è verificata una crisi valutaria in Russia: il tasso di cambio del rublo rispetto al dollaro è crollato due volte. L’economia russa ha subito danni non quantificabili. E all’inizio del 2015, il governo è stato costretto a stanziare circa 2 trilioni di rubli di assistenza di emergenza per eliminare i danni più gravi. Nel marzo 2014 l’Occidente ha imposto sanzioni contro la Russia e nel primo anno di sanzioni la perdita dell’economia russa, secondo gli esperti, ha raggiunto l’1,2% del PIL, ovvero quasi 950 miliardi di rubli. Le perdite dovute alla crisi valutaria provocata dalla Banca di Russia sono state comunque maggiori. L’ho già scritto il 15 dicembre, il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto un grande discorso a una riunione del Consiglio per lo sviluppo strategico e i progetti nazionali. Il rapporto ha identificato sei sfide chiave per il 2023. Quasi tutti i compiti comportano la mobilitazione economica sotto forma di maggiori investimenti nella creazione di nuovi beni di produzione e infrastrutture economiche e sociali. Tuttavia, il bilancio federale recentemente adottato per il 2023 non prevede un aumento degli investimenti statali per lo sviluppo accelerato dell’industria manifatturiera (tenendo conto dell’inflazione, gli investimenti rimarranno approssimativamente al livello del 2022). Forse l’accento è posto sugli investimenti del settore privato? No: per questo non bastano le fonti interne delle imprese private. C’è bisogno di prestiti. Primo, a lungo termine. In secondo luogo, economico. V. Putin, al momento di pronunciare il suo discorso al Consiglio, il tasso di riferimento della Banca Centrale è stato pari al 7,5%. A un tale tasso, anche i prestiti a breve termine delle banche commerciali non sono disponibili per le imprese nel settore reale dell’economia. Sembrerebbe che la Banca Centrale avrebbe dovuto ascoltare la chiamata del presidente e capire che è necessario ridurre radicalmente il tasso di riferimento. Il giorno dopo il discorso di Putin alla Neglinka, c’è stata una riunione del Consiglio di amministrazione della Banca Centrale, in cui si è deciso di lasciare invariato il tasso chiave – 7,5%. La Banca di Russia ha una sua logica, perché è “indipendente” dallo Stato, e quindi dal Presidente della Federazione Russa!

Ancora più scandalosa è stata la “rivelazione” del primo vicepresidente della Banca di Russia Ksenia Yudaeva, fatta il 17 dicembre. Ha detto: «Se vuoi massimizzare la produzione quest’anno, aspettati una recessione l’anno prossimo, perché sarai abusato, inizierà l’inflazione, inizieranno i problemi e cadrai in una recessione. In linea di principio, è molto più corretto che lo sviluppo a lungo termine abbia uno sviluppo più fluido». Non so dove abbia insegnato questa signora: né all’Università Statale di Mosca presso la Facoltà di Economia, né alla Scuola di Economia Russa, né allo Stockholm Institute for Economics in Transition (1998-99). O forse al Massachusetts Institute of Technology, dove le è stato conferito il titolo di Doctor of Economics? È considerata l’erede della causa del “grande riformatore” Egor Gaidar. Essendo in molte posizioni governative, Yudaeva trasmetteva ovunque i dogmi della scuola economica liberale occidentale. E ricorda: durante gli anni dell’industrializzazione in URSS, il tasso di crescita economica non aveva precedenti. Secondo i calcoli dei nostri economisti russi, nel periodo 1929-1955 (con l’eccezione di quattro anni della Grande Guerra Patriottica) il tasso di crescita medio annuo del reddito nazionale dell’URSS è stato del 13,8% (A. Galushka, A. Niyazmetov, M. Okulov: Cristallo di crescita. Al miracolo economico russo – M.: “Il nostro domani”, 2021, p.8). Nota: allo stesso tempo, non c’era inflazione e nessun segnale di “caduta in recessione”. Tuttavia, a Stoccolma e al MIT, la signora Vicepresidente della Banca di Russia non ne è stata informata. La dichiarazione di Yudaeva non è la sua opinione privata. Questa è la posizione della Banca di Russia. Se non vogliamo perdere nella guerra con l’Occidente, dobbiamo mettere in ordine le nostre retrovie economiche. E questo lavoro dovrebbe iniziare con la Banca di Russia.

 Valentin Katasonov  (Traduzione di Alessandro Napoli)

 
Troppe coincidenze PDF Stampa E-mail

25 Dicembre 2022

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 Da Comedonchisciotte del 24-12-2022 (N.d.d.)

Decisamente le coincidenze sono troppe. È una coincidenza che la guerra della NATO contro la Russia (camuffata da guerra fra Russia e Ucraina) abbia avuto come conseguenza la fine della “dipendenza” dell’Europa dal gas russo. È una coincidenza che l’Europa debba affidarsi alla “dipendenza” da altri fornitori, e che gli Stati Uniti possano piazzare qui da noi il loro carissimo gas “scisto”. Ed è adesso una terza coincidenza che il provvidenziale scandalo del “qatargate” porti l’Unione Europea ad una quasi rottura con il Qatar. Il Qatar che – guarda caso – è al momento il secondo maggior fornitore di gas all’Europa. E siccome il Qatar minaccia – per rappresaglia – di tagliarci le forniture di gas, ecco che la quota degli Stati Uniti nelle forniture (salatissime) di gas lieviterebbe vertiginosamente: quarta coincidenza. Parallelamente, come inevitabile effetto collaterale, i paesi europei (Italia in testa) dovrebbero spendere ancora di più per la loro bolletta energetica; ancora di più – coincidenza nelle coincidenze – a beneficio di Washington.

Intendiamoci: non voglio difendere il PD e neppure le verginelle del Parlamento Europeo che mostrano di meravigliarsi nell’apprendere che un sistema di pressioni organizzate (quello del “lobbismo” d’importazione americana) abbia generato clamorosi episodi di corruzione. Probabilmente è tutto vero. Ma è comunque sorprendente che i servizi segreti belgi abbiano deciso di indagare – solo ora – su ciò che avviene nelle segrete stanze di Strasburgo. Su input dei colleghi degli Emirati Arabi Uniti – si è detto – ostili al Qatar per ragioni di politica interna al mondo sunnita. Sarà anche vero. Ma non credo che i servizi emiratini siano tra i più attrezzati e performanti del Medio Oriente. Forse – è una mia malignità – hanno a loro volta ricevuto un’imbeccata dai servizi segreti di qualche grande, grandissima potenza occidentale. I quali ultimi – continuo a malignare – potrebbero poi aver convinto i belgi ad accogliere i suggerimenti che giungevano dagli Emirati, ed a mettere così il dito in quegli infernali ingranaggi europei da cui gli 007 di Bruxelles si erano fino ad ora tenuti ostinatamente lontani.

E – se si volesse continuare con le ipotesi di studio – si potrebbe aggiungere che il Qatar non è soltanto un grande produttore di gas naturale, ma anche un paese che ha un ruolo particolarissimo negli equilibri internazionali. È legato a filo doppio con la Turchia (paese NATO “disobbediente” che si è rifiutato di aderire alle sanzioni contro la Russia) ed è, al contempo, una sorta di primo approdo per la Cina in Medio Oriente. Rapporti – entrambi – molto, molto stretti. Secondo alcuni, svolgerebbe addirittura un ruolo di “cerniera” (anche economica) tra Ankara e Pechino. Secondo altri – ma l’una cosa non esclude l’altra – il Qatar sarebbe anche una specie di rampa di lancio per la penetrazione della Cina in Africa.

 

E che dire di quanto sta avvenendo sull’altra sponda del Golfo Persico? Sicuri che la quasi-sollevazione contro il governo dell’Iran sia un fatto del tutto spontaneo? Non le proteste – sacrosante – contro un regime tristemente oscurantista e la sua brutale “polizia morale”. Non le proteste – dicevo – certamente genuine e spontanee… Non le proteste, ma il tentativo di protrarle all’infinito – a prezzo di centinaia di morti – perché possano trasformarsi nel volano di un colpo-di-Stato violento contro un governo che, pur con tutti i suoi torti, è comunque l’espressione di un legittimo verdetto elettorale; sia pur scaturito da una simildemocrazia assolutamente sui generis, in linea con i canoni mediorientali. Ecco… Sicuri che quanto sta avvenendo in Iran sia un fenomeno del tutto spontaneo? Sicuri che la “copertura” di quei fatti ad opera dei grandi mezzi d’informazione internazionali non miri a preparare l’opinione pubblica occidentale a una qualche forma di intervento o di semplice condizionamento per difendere i princípi democratici in Iran? E come mai analoga “copertura” non viene data a ciò che nelle stesse ore avviene in Afghanistan? Nell’Afghanistan consegnato dagli USA ai Talebani, dove la polizia morale (o il suo equivalente) ha diritto di vita e di morte su tutti, dove le donne non hanno neanche un decimo delle libertà loro concesse in Iran, dove le condanne a morte non sono un fatto episodico ma una pratica quotidiana di cui nessuno più si meraviglia…

Tutte coincidenze, tutti indizi che – se stessimo abbozzando la traccia di un romanzo giallo – punterebbero ad un’unica direzione: Washington. Ma siccome non siamo in un romanzo giallo, bensì nella sfavillante realtà del “politicamente corretto”, dobbiamo credere che tutto sia avvenuto e stia avvenendo per caso: dal sabotaggio del Nord Stream alle mazzette dei lobbisti europei. Gli americani, d’altro canto, sono “i buoni” per antonomasia. Loro le guerre le fanno soltanto per porre fine alle guerre Lo disse il Presidente Thomas Woodrow Wilson nel 1917. Ma sembra che, dopo cento e cinque anni, non abbiano ancóra scoperto come si fa. Sono ancóra fermi alle dichiarazioni di principio, e non credo che procederanno oltre. Almeno fino a quando in Europa ci saranno ancóra tanti sempliciotti che credono alle “coincidenze”.

 Michele Rallo

 

 
Spirale autodistruttiva PDF Stampa E-mail

23 Dicembre 2022

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 Da Comedonchisciotte del 20-12-2022 (N.d.d.

Ho sentito parlare per la prima volta di Valentina Tereškova quando ero un piccolo bambino. Mia nonna, vecchia contadina con pochi, tragicamente pochi, anni di scuola, aveva un’ammirazione sconfinata per Valentina Vladimirovna, quasi che per interposta persona potesse alleviare un po’ il peso della sua vita di fatica e lavoro. La prima donna nello spazio, figlia di un Soviet che non raggiungerà i cento anni di vita, all’indomani della sua impresa, ha sicuramente colpito l’immaginario di molte donne, colte e meno colte, femministe e non. Con il suo impegno e la sua determinazione, con il suo diploma tecnico ottenuto studiando la sera dopo i turni di lavoro in fabbrica, con il suo volo nello spazio, l’allodola Valentina Tereškova ha dimostrato una volta di più, al mondo degli uomini piccoli e paurosi, che donna e femmina sono due parole diverse, che una donna non è una macchina per fare bambini e il suo posto non è solo la cucina o il talamo nuziale. Valentina Tereškova è stata ed è una donna eccezionale e ora, alla veneranda età di 85 anni si ritrova sanzionata dall’Unione Europea assieme ad un altro grande di Russia, il regista Nikita Sergeevič Michalkov. La nona tornata di sanzioni decise da Bruxelles ha trovato entrambi colpevoli di essere…. Russi. Di non odiare la propria terra, la propria patria. Di non condannare la guerra che Mosca è stata costretta ad iniziare per salvare non solo il Donbass ma la sua propria stessa esistenza.

Una mia amica mi ha chiesto incredula se davvero credessi che in Ucraina ci sono i nazisti. C’è stato un momento di silenzio educato, credo anche di aver guardato fuori dalla finestra. Avrei potuto citarle gli articoli che ho letto, le analisi che ho tradotto, i filmati che ho visto. Certo, il letame nazista che c’è in Ucraina non è la maggioranza della popolazione ucraina che viene trattata come carne da cannone, ma quello che c’è è sufficiente, perché viene armato dagli Americani e difeso dalla loro propaganda. E dai loro psicologi. Avrei potuto parlare alla mia amica di quelle due bestie in forma umana di Stepan Bandera e Mykola Lebed, che Wikipedia definisce pudicamente “attivista politico” e che sono morti da rispettabili galantuomini negli Stati Uniti invece che appesi ad una forca dopo Norimberga, come avrebbero meritato. I bellissimi occhi color della giada cinese con cui la mia amica guarda il mondo sembrano non vedere quello che sta realmente succedendo. È una forma di disconnessione dalla realtà che colpisce non solo lei ma anche molte altre persone.

Coloro che hanno voluto le sanzioni contro la Russia sono gli stessi che hanno torturato la Grecia per anni, imponendo un’austerità insensata che ha distrutto quella nazione e rovinato la vita di molte persone. È la stessa gente che ha innalzato la ragazzina svedese Greta Thunberg a piccola divinità pagana di un ambientalismo da accattoni, di un ecologismo al contempo ascientifico e privo di basi reali. È la stessa gente che ci ha imposto lavori a termine, dicendoci che la “flessibilità” (sic) ci avrebbero resi più ricchi e soddisfatti. È la stessa gente che “crede” nelle sciocchezze della teoria gender, che vuole a tutti i costi che non usiamo più i contanti, che ci ha imposto le chiusure pandemiche e il green pass. È la stessa gente che vuole che mangiamo insetti, vivere in un mondo “fluido” e, dulcis in fundo, crede fermamente che una donna si possa emancipare anche con un account Onlyfans o Pornhub. In altre parole, è gente di cui possiamo fare a meno. È lo stesso letame che c’è a Kiev, solo leggermente diverso nelle sue qualità apparenti. Per cui nessuno dovrebbe stupirsi se siamo arrivati a questo punto di follia e che l’Unione Europea si stia avvitando in una spirale autodistruttiva che porterà, prima o poi, i governi ad agire sempre più apertamente contro i loro stessi popoli. Un assaggio lo abbiamo avuto con la repressione durante l’epidemia di Covid, anche in Italia, ma temo che andrà peggio.

Nikita Sergeevič! Ti ringraziamo per i tuoi film che ci hanno insegnato molto! Ti auguriamo di poterne fare degli altri e che siano il tuo dono anche per gli immeritevoli che ti hanno sanzionato. Valentina Vladimirovna! Ti vogliamo bene e siamo tuoi amici… Grazie per la tua impresa! Grazie anche per ricordarci che si può amare il proprio Paese attraverso una vita intera perché, come già scrisse il poeta iracheno all’indomani dell’arrivo degli americani a Bagdad, “alla malerba dello straniero preferisco l’ortica di casa mia”. Bruxelles dovrebbe stare attenta alle decisioni che prende, alle sudditanze che accetta, ma è come se fosse impazzita. Che futuro può avere?

Costantino Ceoldo

 
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